Un interessante editoriale del Guardian ci mostra i paradossi della Politica agricola comunitaria (Pac): alcuni esempi di soggetti che hanno ricevuto lauti sussidi dall’Ue sono sconcertanti.
Ecco i più “interessanti”: la società Rhum Martinique Saint James produce una dignitosa gamma di bevande su un’isola a 4000 chilometri dalla Francia, il che non le ha impedito di ricevere lo scorso anno più di un milione di euro di sussidi agricoli. Nella lista francese dei 174 che ricevono aiuti milionari compaiono anche diversi produttori di banane. Altrove, somme più piccole sono andate a un club svedese di fisarmoniche, uno danese di biliardo, alla figlia 26enne dell’ex ministro bulgaro dell’agricoltura (che ha incassato oltre 700.000 euro), all’aeroporto Schipol di Amsterdam (quasi centomila euro).
Tutti sono d’accordo sul fatto che la politica agricola comune, che costa 50 miliardi di euro all’anno, così come è non funzioni. Pubblicamente tutti promettono riforme. In privato però sono alla caccia di quanto possono cavarne. Il risultato è un disastro economico e ambientale. I piccoli agricoltori fanno fatica a sopravvivere, come dimostra il rapporto del dicembre 2009 sull’agricoltura di montagna, mentre grandi società agrarie si dividono i proventi della Pac, in particolare i produttori di zucchero. Questi ultimi sono tra tutti i maggiori beneficiari:144 milioni alla francese St Louis Sugar e 42,9 milioni alla tedesca Sudzucker.
Queste anomalie sono saltate alla ribalta grazie al lavoro di una piccola organizzazione (farmsubsidy.org), che ha recuperato dati nascosti dai 27 Governi dell’Ue e li ha messi a disposizione online. Il risultato da una parte rafforza la causa di chi dice che la Pac deve essere eliminata, dall’altra conferma perché è impossibile farlo. Troppe persone se ne avvantaggiano perché si trovi un accordo per cambiare questo stato di cose. Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, aveva promesso una riforma «senza tabù o restrizioni». Lo scorso anno è stata presentata una bozza che rappresentava una marcia indietro rispetto a un reale cambiamento. Era troppo presto per «determinare i contorni o le esatte intenzioni di future riforme», concludeva il documento. In definitiva i Governi degli Stati membri non sono abbastanza forti da opporsi a interessi consolidati.
Non ci resta che aspettare nella riforma del 2013, ma le prospettive non sono rosee.
Luca Bernardini, Slow food
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